Il dovere tributario, nella concezione costituzionale, afferisce al pactum unionis piuttosto che a quello subiectionis», per cui solo attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, che ne restringe fortemente la portata applicativa, la previsione dell’inutilizzabilità processuale degli elementi informativi non trasmessi o non consegnati dal contribuente su richiesta dell’amministrazione finanziaria, «ritrova una sua vocazione compatibile con il disegno costituzionale», essendo funzionale a favorire un dialogo anticipato, pre-contenzioso, fra le parti e quella reciproca correttezza di rapporti tra pubblica autorità e contribuenti «che è presupposto di ogni civile convivenza». La Corte costituzionale ha così ritenuto non fondate le questioni sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma sull’articolo 32, quarto e quinto comma, del d.P.R. n. 600/1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi). La sentenza ha confermato la linea interpretativa già fornita dalla giurisprudenza di legittimità sui limiti di applicabilità della suddetta disposizione, e ne ha ulteriormente ridotto la portata, precisando che devono essere esclusi dalla sanzione dell’inutilizzabilità nel processo «quegli elementi informativi che rivestono (ad esempio, un registro in cui figurassero anche annotazioni contra se) un contenuto, per così dire, misto, ovvero anche parzialmente suscettibile di produrre effetti sfavorevoli per il contribuente».