Un’operazione in derivati connotata da costi occulti è affetta da nullità che non è quella virtuale (art. 1418 c.c., comma 1), ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto.

Invero la Suprema Corte di Cassazione ha dettato il seguente principio:”

La Corte di appello ha escluso che la violazione di regole di condotta gravanti sull’intermediario, e afferenti l’informazione sul derivato potesse determinare la nullità del contratto concluso tra il detto soggetto e l’investitore. Ha precisato che l’occultamento di costi a svantaggio del cliente, tanto per una valutazione iniziale sfavorevole all’investitore (mark to market negativo), quanto per l’apparente erogazione di somme a parziale indennizzo della posizione sfavorevole assunta dal cliente (upfront), rileverebbe, “nella normalità dei casi, sul piano della violazione delle regole di condotta, sia in punto di obblighi informativi, sia, ove l’intermediario collochi in contropartita diretta i prodotti derivati, in relazione al conflitto di interessi”.

Il Giudice del gravame ha inteso quindi escludere che il profilo relativo all’implicazione, nelle operazioni in derivati, di costi occulti, quali quelli lamentati, nel giudizio di merito, dalla società investitrice (cfr. sentenza impugnata, pag. 16), si ripercuotesse sulla validità del contratto.

Una tale conclusione non è conforme alla giurisprudenza che questa Corte ha espresso nella sua articolazione più autorevole. Le Sezioni Unite hanno infatti avuto modo di precisare che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770).

Il Collegio, pur consapevole che la materia prospetta profili di delicata complessità, come evidenziato dalla banca controricorrente nella propria memoria, reputa condivisibile ex art. 374, comma 3, c.p.c. il richiamato principio di diritto, il quale colloca sul piano della nullità del contratto la tutela dell’investitore a fronte di un’operazione in derivati connotata da costi occulti: nullità che – è bene precisare -non è quella, virtuale (art. 1418 c.c., comma 1), di cui si sono occupate due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto (nella pronuncia del 2020 si richiama, a tale proposito, l’oggetto – punto 9.8 -, ma anche la causa del negozio: cfr., segnatamente, punto 9.3 della sentenza). In tale prospettiva, la sentenza impugnata, che ha escluso in radice il vizio genetico degli swap oggetto di giudizio, merita censura.”