Di seguito i principi enucleati a fondamento della declaratoria di nullità:
– Come è noto, la transazione è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti (art. 1965 c.c.)
– Affinché una transazione sia validamente conclusa, è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una res dubia, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza, e, dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro (o anche meramente potenziale, nella prospettiva della possibile insorgenza di una controversia futura), i contraenti si facciano delle concessioni reciproche; peraltro, l’oggetto della transazione non è il rapporto o la situazione giuridica presupposto, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni (Cass., 3 gennaio 2011, n. 72).
– Quindi, elementi imprescindibili per la validità di una transazione sono l’esistenza di una res dubia, cioè di un rapporto giuridico avente carattere di incertezza, e le reciproche concessioni dei contraenti.
– Ne consegue che è invalida la transazione contenente il pieno riconoscimento della pretesa di una parte a fronte di una totale rinuncia da parte dell’altra (Cass., 25 ottobre 2013, n. 24169).
– Nell’atto posto in essere non è possibile riconoscere una vera e propria transazione.
– In primo luogo, nella scrittura manca – o, comunque, risulta del tutto imprecisata ed inespressa – la res dubia, non essendo esplicitato l’oggetto della controversia che si voleva transigere.
Sotto altro profilo, poi, risulta anche assente il requisito delle reciproche concessioni, in quanto la cessione delle azioni è intervenuta nei termini previsti dal patto parasociale senza alcuna concessione.
Conseguentemente, la c.d. rinunzia agli interessi – e lo stesso aumento del corrispettivo – si collocano nell’ambito della normale trattativa conseguente all’attivazione della procedura antistallo.
D’altra parte, consentendo il patto parasociale di determinare il corrispettivo per l’acquisizione della partecipazione sociale detenuta, tale determinazione rientrava, comunque, nella disponibilità della società oggi convenuta e non si atteggia come rinunzia o come accoglimento di una istanza della controparte.
In definitiva, la scrittura in argomento contiene in concreto una rinuncia a far valere i propri diritti pura e semplice, acausale ed incapace di produrre l’effetto preclusivo tipico della transazione.