La ragione del divieto dell’art. 2265 c.c., deve ravvisarsi nel fatto che la partecipazione agli utili ed al rischio dell’esercizio dell’impresa costituiscono il migliore incentivo all’esercizio avveduto e corretto dei poteri amministrativi; essi costituiscono, inoltre, nella compagine societaria ed in virtù della funzione del contratto di società, l’unico ed essenziale incentivo all’esercizio, in un senso produttivo, in altro senso non avventato, dei poteri corporativi, e giustificano una scelta di politica legislativa nel senso indicato dall’art. 2265 c.c.
In definitiva, il divieto e` volto ad evitare clausole statutarie e accordi parasociali che alterino la ripartizione del rischio d’impresa in modo che uno o più soci siano esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite e risultino in questo modo deresponsabilizzati rispetto all’esercizio prudente ed avveduto dei diritti amministrativi in conformità all’interesse della società e all’obiettivo di salvaguardia del suo patrimonio (Trib. Milano, 3 dicembre 2013; Trib. Milano, 6 settembre 2015). È poi pacifico che il divieto in argomento si applichi a tutti i tipi sociali (e, pertanto, anche alle società di capitali) ed anche ai patti parasociali che comportino l’esclusione totale e costante di uno o più soci dal rischio di impresa o dalla partecipazione agli utili. Ed infatti è ben vero che i patti parasociali, in quanto stipulati tra le parti non uti soci ma uti singuli, non entrano nel contenuto del contratto sociale ed assumono valenza meramente obbligatoria tra coloro che li hanno sottoscritti, senza vincolare la società. Tuttavia, non può non considerarsi che l’art. 2265 c.c., nel contemplare la nullità del patto leonino, non distingue tra patto inserito nel contratto di società e patto autonomo. Inoltre il patto parasociale, pur formalmente estraneo al contratto di società, si presenta collegato ad esso poiché tendente a realizzare un risultato economico unitario; tale collegamento vale a ricondurre il patto formalmente estraneo al contratto di società all’interno dell’operazione societaria ed a sottoporlo alla relativa disciplina, con la conseguenza che anche il patto parasociale deve considerarsi nullo ove sia elusivo del divieto di cui al citato art. 2265 c.c. Ciò posto, le clausole antistallo non sono idonee – tanto per la loro finalità che per la loro struttura – ad escludere un socio dalla responsabilità della gestione ovvero a consentire ad uno di essi di approfittare di una determinata situazione per escludere l’altro. Infatti, la parte cui è attribuita la facoltà di assumere l’iniziativa di attivare la procedura non è libera di farlo in qualsiasi momento, essendo tale facoltà vincolata al verificarsi di uno degli eventi, indicati nella clausola stessa, di incapacità decisionale delle società o di scadenza del patto parasociale.