15. Tornando ad esaminare la pretesa relativa al lotto (omissis), per quel che concerne, poi, il requisito soggettivo dell’illecito foriero di danno, il Collegio condivide quel consolidato orientamento giurisprudenziale di matrice comunitaria (in tal senso, Corte di giustizia UE sentenza del 30 settembre 2010, C-314/09 Stadt – Graz), che, nell’affermare l’irrilevanza, in caso di danno da illegittima aggiudicazione, di ogni questione relativa all’elemento soggettivo, accoglie un modello di responsabilità dell’amministrazione di tipo oggettivo, coerente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione V, n. 966/2013 nonché, più recentemente, ex pluribus, Consiglio di Stato, sezione V, n. 772/2016, secondo cui “il rimedio risarcitorio contemplato dalla direttiva 89/665/CEE può effettivamente rivelarsi un efficace mezzo di ristoro soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’Amministrazione aggiudicatrice”).
16. Il Comune resistente deve, dunque, essere condannato al risarcimento del danno per equivalente a ristoro dell’interesse positivo di parte ricorrente al conseguimento del mancato utile che avrebbe ricavato dallo svolgimento del servizio oggetto del lotto 1 della gara, trattandosi di una voce di lucro cessante conseguente in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 c.c., alla mancata esecuzione di un contratto che l’Onlus avrebbe, invece, avuto diritto di eseguire per quanto in precedenza accertato e che si presume correlata all’offerta presentata in gara ed al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.
Nondimeno, un criterio percentuale sull’importo posto a base della gara non può trovare ingresso, ritenendo il Collegio che a questo scopo debba aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ritraibile non già dalla base d’asta ma dal ribasso offerto dall’impresa.
L’utilizzo in sede di liquidazione di una misura percentuale correlata alla base d’asta fa, infatti, riferimento ad un criterio forfettario e presuntivo, frutto della trasposizione di quanto in precedenza previsto in caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto (art. 134, comma 1, del previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163/2006), che la giurisprudenza amministrativa ha tuttavia ormai abbandonato (ex plurimis, da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 5283/2019 ed i precedenti ivi richiamati).

Tale impostazione, aderente alla norma civilistica che onera il danneggiato della prova del danno patito (art. 2697 c.c.), risulta, vieppiù, avvalorata anche dal dettato dell’art. 124 del c.p.a., che, infatti, ammette il risarcimento per equivalente a condizione che il danno sia “subito e provato“, con conseguente eliminazione dall’ordinamento di ogni criterio di determinazione dello stesso in via automatica e forfettaria.

Ciò posto, tutte le volte che si tratti di quantificare il mancato utile ritraibile da mancata esplicazione di un’attività di impresa vanno, dunque, determinati, sulla base dell’offerta economica presentata dalla concorrente, gli utili attesi dall’intera iniziativa per il periodo di riferimento, diminuiti dei redditi sotto qualunque forma conseguiti nel medesimo periodo, per l’impiego alternativo dei mezzi propri necessari allo svolgimento del servizio mancato, in applicazione del criterio dell’aliunde perceptum, vale a dire dell’utile alternativo che l’impresa può avere acquisito svolgendo attività alternative rispetto a quella che avrebbe dovuto eseguire, ove avesse ottenuto l’aggiudicazione del lotto 1.

Ebbene, spettando al ricorrente provare l’omessa compensazione per aliunde perceptum e mancando la relativa prova, viene ritenuto ragionevole un risarcimento determinato equitativamente, ai sensi dell’art. 1226 c.c., in misura pari al 5% dell’importo dell’offerta economica dalla stessa formulata, in assenza di una dimostrazione in giudizio che il margine di utile sarebbe stato maggiore.

17. Deve, invece, essere respinta la richiesta di risarcimento del danno curriculare – avanzata sul mero assunto che esso sia da ritenersi in re ipsa – attesa non solo la mancata dimostrazione bensì, finanche, l’omessa deduzione da parte della ricorrente che la mancata aggiudicazione ed esecuzione del servizio oggetto del giudizio abbia precluso di acquisire ulteriori commesse pubbliche o di quali sarebbero le negative ricadute, in termini di minore redditività, sulla propria immagine commerciale, essendosi la giurisprudenza amministrativa ormai attestata sulla necessità di dare, anche con riferimento a tale voce di danno, una prova specifica (in tal senso, ex multisConsiglio di Stato, Sezione V, 2 gennaio 2019, n. 14; 26 aprile 2018, n. 2527; 16 dicembre 2016, n. 5322).